...perchè sono 6 mesi oggi e sembra ieri..
Ore 12.30 orario previsto di
arrivo - da navigarore Zumo - 15.10.
Avrei voluto partire molto prima
ma inderogabili impegni mi fanno tardare la partenza e quindi l'orario previsto
di arrivo, ma bando ai tutor…vale la pena rischiare la contravvenzione per
arrivare in orario. L’ultimo addio, il saluto, il piccolo personale omaggio a
un grande pilota ma ancor più a un grande uomo.
I timori dei proclami del sindaco
e i messaggi autostradali che consigliavano l’uscita a Riccione per raggiungere
l’autodromo, mi fanno pensare che avrei avuto difficoltà a raggiungere
Coriano, ma non mi fanno cambiare meta, nella mente già ipotesi o piani per
riuscire ad aggirare eventuali blocchi e non farmi dirottare su altri luoghi. Devo esserci.
Il navigatore mi consiglia
l’uscita Rimini sud e a 3 km dalla metà penso di aver sbagliato
destinazione che forse la cerimonia si tiene in un altro comune o magari è
stato solo un incubo quello che ho vissuto e aspetto che da un momento
all’altro suoni la sveglia ricordandomi che da lì a poche ore c’è il gran
premio di Sepang.
Poi vedo il cartello che indica
l’inizio del comune, una piccola curva a sinistra e proprio sul cancello di una
casa ad angolo vedo due palloncini rossi a forma di numeri, un 5 e un 8…il
numero di Marco e capisco che invece è tutto reale. Seguo per il centro,
e con mia sorpresa nessuna transenna blocca l’accesso al comune.
Mentre butto l’occhio alla
ricerca di un parcheggio mi rendo conto di come tutto assume i contorni di una
celebrazione, non della morte ma quasi di un inno alla vita, i 58 ovunque i
palloncini colorati, i poster con le immagini di marco in piega. Moto e scooter
ovunque, su tutti i marciapiedi intorno alla chiesa e nelle vie limitrofe,
cerco un parcheggio, fortunatamente un auto se ne sta andando… “da dove vieni”
mi chiedono, alla mia risposta Milano mi rispondono "lo hanno appena
portato dentro" ed io quasi a giustificare questo ritardo.."sono
partito tardi".
Dalle prime transenne che
bloccano il passaggio sento l’eco degli autoparlanti che irradiano la voce del
vescovo, mi avvicino alla chiesa e incontro decine di persone che stanno
percorrendo questo tragitto, tutte in silenzio e con gli occhi lucidi. Sono ai
margini della scalinata che porta alla chiesa c’è uno schermo gigante che
trasmette le immagine della funzione e dietro ad esso transenne che racchiudono centinaia
di persone commosse mentre seguendo la messa. Scoppia un applauso
quando il vescovo dice “avrei voluto firmare lo striscione che diceva: e ora
vai e insegna agli angeli a piegare”. Mi perdo prima a vedere i messaggi di
cordoglio delle svariate associazioni locali e gruppi del posto, poi le
centinaia di scritte e cartelloni a ricordare Marco, tutti a dire quanto gli
volevano bene e ora quanto mancherai, a tutti. Fiori, peluche, disegni di bambini delle
elementari e di asilo, immagini del genere le vedi in tv davanti a drammi
collettivi, a perdite assolute o alle vittime di profonde ingiustizie, e penso
che proprio questo è quello che è successo, una grande ingiustizia. Salgo la gradinata, non riesco a
leggere nessuno di questi manifesti, non sono cattolico e non credo nel dio cristiano
ma voglio sentire, voglio in qualche modo essere il più vicino a Marco, e per
una delle rarissime volte mi sembra che il Vescovo stia dicendo qualcosa di
condivisibile e degno di essere ascoltato. Salgo fino al sagrato dove ci sono
transenne che limitano l’accesso e all’interno troupe di cameramen, giornalisti
e fotografi si aggira avanti e indietro alla ricerca di immagini e momenti.
Resto lì ad ascoltare la
cerimonia, che non sembra un rito funebre ma complici le canzoni, le chitarre e i canti, una celebrazione a qualcosa che non è la morte ma la consacrazione
ad un mondo ultraterreno quel ragazzo che tutti qui vorrebbero vedere ancora
sorridere.
Sono lì in piedi davanti a
me un uomo sulla cinquantina in gessato nero che si pulisce gli angoli degli
occhi, di fianco una ragazza con un berretto nero ha gli occhi rossi e lucidi ed a un certo punto estrae l’i-phone per rispondere e vedo che l’immagine come
salvaschermo è una bellissima foto di Marco con gli occhiali a specchio.
Mi guardo intorno, nessun
curioso, nessuno alla ricerca di vedere questo o quel personaggio famoso come
alcuni potrebbero pensare, ma tutti commossi e partecipi di un dolore vivo e
collettivo, tutti pronti a scambiarsi calorose strette di mano quando il
vescovo dice “e ora scambiatevi il segno della pace”. Sto sempre
lì, la cerimonia finisce, partono le note di Vasco con siamo solo noi ed ecco
che prima escono le moto e poi con un sentito applauso accompagna la bara
all’esterno. Partono grida con il nome di Paolo, Rossella, il team Gresini a
cui seguono calorosi applausi. Poi, dalla visuale defilata non capisco quello
che succede ma il correre frenetico di fotografi verso il centro fa intuire che
qualcosa è avvenuto (vedrò Paolo con la sorellina di Marco seduti intorno alla
bara solo la sera nei tg nazionali), poi prende la parola Kate e poi il dr.
Costa ed ecco che le lacrime che a fatica si trattenevano come un fiume
si fanno largo e non fai nulla per contenerle, mi guardo intorno e vedo che
tutti stanno piangendo. Forse in quelle semplici parole ci sta tutta la verità, questo è un mondo marcio, corrotto, poco pulito e forse servono simili
sacrifici per cercare di renderlo migliore, servono drammi di questo tipo per
riparametrare la scala dei valori e delle necessità.
Forse era necessario che Marco
diventasse un mito, un icona un punto di riferimento da portare e prendere
ad esempio, per permettere ai bambini di avere qualcuno da imitare,
qualcuno con valori sani e puri ma al tempo stesso non passivo e succube ma
tenace, perseverante e determinato.
La salma viene caricata sull’auto
funebre e così decido di prendere la via di casa…inutile trattenersi oltre.
Scendo le scalinate, incontro il dr. Costa con gli occhi gonfi e brillanti, gli
stringo la mano, anche se avrei voluto abbracciarlo o forse meglio -sono io che
avrei voluto un abbraccio- per cercare di mitigare questo
dolore. Mi incammino verso la moto, faccio tutto questo tragitto in lacrime,
imposto “casa” sul navigatore e vedo che mi fa compiere un altro tragitto.
Parto in una forma di tranche, scollino e faccio una doppia curva una discesa a
cui segue una bella salita sulla sinistra che va a incrociare la statale e
penso a quante volte deve averla fatta Marco quel bel raccordo in discesa,
magari toccando il ginocchio. Allontanandomi osservo la chiesa che svetta da
sopra la collina di questo comune e anche se ho attraversato solo poce strade, mi sembra di conoscerlo di più, mi sembra di vederlo ragazzino girare
con la moto su quelle stradine di collina e cresce ancora di più la
nostalgia per quel ragazzo tanto speciale.
Ormai è buio e mi aspettano 350
km, mi fermo a modena all’autogrill a prendere un cappuccio per scaldarmi, vedo
che entra Capirossi con un viso cupo e triste e quasi deformato dal dolore e mi
sento tanto vicino a quel campione.
Alle 20.20 sono a casa con alle
spalle 740 km nell’arco di 8 ore ma non un briciolo di stanchezza o altro, solo
un grosso senso di vuoto e una rabbia che non riesco a indirizzare sul perché
le cose devono andare in questo modo. E solo un pensiero mi permette di
chiudere occhio, sapere che mio figlio leggerà e saprà chi era Marco e
conoscerà le sue gesta e potrò raccontagli che persona fantastica era e gli
insegnamenti che con il suo modo di essere la sua unicità ci ha lasciato,
questo potrà trasmettere a lui e alle generazioni a venire.
GRAZIE MARCO